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In vettura!

24 febbraio 2018

automobile

La cinquecento grigia con i sedili rossi, metallica e arrugginita, faceva quel rumore all’avviamento che prospettava senza indugio l’eventualità che non riuscisse affatto ad avviarsi. La renault quattro, rossa tra l’altro, al confronto pareva lunga, era l’auto dei viaggi e poteva essere caricata all’inverosimile sul tetto  (nei viaggi oltremare, poi, si usava ancora caricare le automobili sulle navi traghetto servendosi di una rete, che le piazzava una ad una direttamente nella pancia della nave); e quel gesto di spinta in avanti per il cambio delle marce la rendeva volitiva, forse coraggiosa, una che sapeva dove andare.

Poi c’è stata la centoventotto bianca, che aveva spazio dietro e davanti e solo una volta è stata caricata sul tetto per il trasporto di due biciclette, legate al portapacchi come due povere valigie. Non era bella, ma poteva considerarsi una vera automobile; non faceva lunghi viaggi. Allo stesso tempo, altrove, una serie di citroen venivano di anno in anno caricate sopra e nel baule e tra i sedili, fino a schiacciarle rasoterra più di quanto già non fossero, per avventurarsi in viaggi estivi ancora quasi a zonzo…benchè fosse già arrivata l’epoca del pulmino azzurro. Il pulmino era nato per i viaggi. Freddissimo, dotato solo dei due posti anteriori, dietro custodiva uno spazio vuoto che era stato arredato con sedie da regista fissate al pavimento, quelle stesse che si mettevano intorno al tavolo in campeggio, e naturalmente poteva trasportare più bagagli e masserizie di tutte le altre che l’avevano preceduto.

In africa c’erano solo le centoventiquattro, spedite un mese prima via mare. Ma un anno c’è stato un fuoristrada da battaglia, tre posti davanti, due strettissimi sedili metallici paralleli dietro, un telone sopra, un’auto insomma, che siffatta induceva il conducente a sperimentare strade inesplorate che non sembravano nemmeno strade, dimenticandosi dei passeggeri sotto il telone, sballottati come noci in un paniere. Era necessario tenersi forte ai pali di sostegno, ma era bello vedere nel vano posteriore la terra scorrere e la boscaglia scoprirsi, e poter raggiungere i marigini delle spiaggie.

Ogni vettura ha una storia densissima e in fondo, anche le biciclette e i motorini degli anni novanta e duemila hanno accompagnato la mia vita e sono ricchi di storia: lo sky vetro che adoravo e col quale ho percorso tutta l’aurelia fino a maccarese (una follia), il peugeot che si fermava in continuazione specialmente se pioveva, lo scooter della maturità che è stato l’unico dei miei mezzi dotato di un garage, la fiesta che decise di perdere un finestrino durante un viaggio d’inverno.

Ho voluto bene anche ad auto altrui, naturalmente; la vita degli amici cari diventa anche un po’ nostra, le loro abitazioni ci diventano familiari e quindi stabiliamo un rapporto anche con le vetture: la mitica macchina del potere, certi scooter, l’auto che per prima ho guidato sulle stradine della campagna pavese, la panda che qualcuno riusciva a guidare mettendo la testa fuori dal tettuccio, tutte le auto gentili che gli amici e le amiche conducevano per accompagnarmi a casa, quando la via per la mia bicicletta era troppo lontana.

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