Svendita
Mi piacerebbe tanto poter leggere in una sfera di cristallo il futuro, una trentina d’anni in là; non un generico futuro (e non il mio, soprattutto), ma quello della scuola benemerita italiana: la scuola pubblica.
Ne scrivo in queste pagine con preoccupazione, poiché ultimamente mi accade di osservare da vicino quanto e come la Scuola vada sempre più ispirandosi, nella gestione dei rapporti con gli allievi e le loro famiglie nonché dei rapporti con il mondo esterno in generale, ai principi del marketing. In tal modo i fruitori del “servizio” (gli allievi), sono considerati alla stregua di clienti: e i clienti, come ben si sa, vanno soddisfatti sempre! Essi possono infatti reclamare: è necessario fornirgli un contratto nel quale si elencano gli impegni che l’istituto scolastico si assume (contratto univoco: la formazione è garantita ma l’allievo può sempre non studiare o comportarsi malissimo). Ho sentito addirittura il termine tracciabilità riferito al percorso scolastico nelle singole materie (vedi voti, giudizi, note): guai definire la valutazione di un allievo se non si è in possesso di una quantità sufficiente di testimonianze scritte del suo percorso. Ho visto anche gli ormai diffusissimi termini mission e vision insinuarsi nella programmazione scolastica.
Gli insegnanti cercano di adattarsi, sono già abituati al vociare del venditore-capo [chief account manager], il quale recita la sua pantomima ricordando ai docenti i loro doveri e preoccupandosi specialmente della visibilità, dell’immagine; e di evitare i possibili reclami. Trovarsi sotto gli occhi di tutti: questa sembra essere la maggiore preoccupazione. L’incubo di the big Brother ha infestato i corridoi delle scuole, mentre la “formazione” è in vendita come prodotto ben confezionato. Un prodotto, grazie a dio, ancora ricco di contenuto, ma di un contenuto del cui valore non siamo più ben sicuri: come se non bastasse, come se avesse bisogno di pubblicità. Di fatto è in svendita, per paura che resti sul banco.
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A mio giudizio uno dei problemi più grandi della scuola é che purtroppo molte delle cose che ti insegna sono assolutamente inutili in quello del lavoro.
Ad esempio, poniamo che, a studi conclusi, ti siano rimasti in testa tutta la grammatica greca e latina, oppure la trama di tutte le opere di Shakespeare: ebbene, queste nozioni quand’ eri dietro a un banco ti fruttavano dei gran bei votoni, ma nel mondo del lavoro te le puoi ficcare in quel posto, perché a nessuno interessa il genitivo assoluto o il monologo dell’ Amleto.
Lo studio dovrebbe prepararti al lavoro, e invece la scuola é spesso un microcosmo completamente autoreferenziale, del tutto chiuso in se stesso, dove impari tante cose magari interessanti, ma che sono utili solo in quel contesto.
Certo wwayne, le nozioni in sé non significano mai molto: dipende però dalla passione e dall’interesse che uno ha per quegli argomenti. Per quanto riguarda la preparazione al lavoro direi che è un discorso lungo, ad esempio se vuoi fare l’insegnante di latino o di lettere… quelle nozioni ti serviranno. I licei come il classico o lo scientifico, ecc, preparano più che altro all’università. Per trovarsi un po’ più “pronti” di fronte al mondo del lavoro forse sono più utili gli istituti tecnici, anche se poi oggigiorno è molto difficile farsi strada senza una laurea universitaria – e anche con la laurea non è certo una strada in discesa.
Comunque lo studio di alcune discipline, come le lingue antiche, non è mai sterile come può sembrare, sai: può esercitare la nostra mente a funzionare e ragionare in un certo modo e questo serve per il futuro, per il lavoro (anche quando si dedica la propria vita professionale ad ambiti completamente diversi) e per la propria vita in generale.
La tua difesa del latino e greco mi trova del tutto d’ accordo, e infatti io non sono contro il loro studio; sono contrario al fatto che il sistema scolastico sia eccessivamente slegato dal mondo del lavoro. Per spiegare la mia posizione ho preso ad esempio le lingue antiche e Shakespeare, ma non perché a mio giudizio bisognerebbe abolire questi argomenti dai programmi scolastici: semplicemente, sono i primi esempi che ho trovato. Grazie per la risposta! : )
Aggiungerei che, in verità, non so quanto siano i programmi in sé, o quanto dipendano dai singoli insegnanti l'”apertura” verso il mondo esterno e anche un metodo di insegnamento più o meno nozionistico.
Grazie a te!
La scuola, secondo me, dovreppe principalmente fornire gli strumenti per imparare. Perchè la scuola non può, nessuna scuola, fornire un sapere che “servirà” per tutta la vita. Ma può insegnare le basi, linguistiche, matematiche, artistiche, pratiche, che poi uno dovrà usare per andare avanti nella conoscenza, tutta la vita. Insegnare ad ascoltare e a rielaborare personalmente quello che si è ascoltato, ampliandolo e rendendolo conoscenza propria, e non ripetizione di nozioni atte a prendere un buon voto al prossimo compito. Questo indubbiamente dipende dagli insegnanti, dalla loro preparazione e motivazione. Ma anche dall’impostazione pedagogica e dallo stesso ambiente fisico dove si svolgono le lezioni. Si deve poter vedere il singolo, l’insegnante lo deve conoscere, saperne vedere i lati forti e deboli, sostenerlo e stimolarlo, dare e pretendere rispetto.
Io ho sempre creduto nella scuola pubblica, che ho frequentato io stessa. Ci credo tuttora. Ma per mia figlia ho scelto una scuola che funziona secondo questi principi, e cioè quella steineriana. Penso che sia stato il miglior “investimento” che ho fatto per lei.
D’accordissimo con te Artemisia… Per me è presto pensarci, ma so già che scuole come la steineriana sono lontane decine di chilometri da casa nostra…a suo tempo, dovremo rifletterci bene.
Ciao, mi trovo d’accordo anch’io con quanto scritto.
Forse il motivo per cui la scuola italiana sta cominciando ad assumere connotati “aziendalistici” è l’aspettativa dell’UE nei nostri confronti. Mi spiego: l’Italia presenta una grandissima differenziazione qualitativa interna rispetto al livello scolastico (e non parlo solo di scolarizzazione ma di reali competenze acquisite dagli studenti). La differenziazione è tra nord e sud. Inoltre c’è un altro grave gap riferito alla dispersione scolastica: il tasso di abbandono scolastico italiano è davvero imbarazzante se confrontato con gli altri paesi europei (dove è già diffuso da anni un sistema filo-aziendalista). Oggettivare il percorso scolastico con misure rigide per la valutazione potrebbe incentivare una maggiore attenzione (da parte degli istituti e degli insegnanti stessi) all’efficacia e all’efficienza nei percorsi. L’UE, con altre iniziative (ora come ora mi viene in mente la strategia Europa 2020), ha anche pensato di incentivare l’apprendimento di competenze che vanno ben oltre l’aspetto nozionistico e che agiscono per la cittadinanza attiva.
Mi rendo conto che forse ho sbagliato portando il livello del discorso nazionale a quello internazionale. M’interessava portare un punto di vista diverso 😀
Per quanto riguarda l’insegnamento del latino e del greco: mi piace pensare alla scuola NON SOLTANTO come un trampolino verso l’università. Non mi piace pensare all’utilità delle materie (ogni materia può essere inutile se affrontata nel modo sbagliato, ovvero in maniera unicamente nozionistica e quindi fine a sé stessa). Ci sono materie che possono essere studiate perché belle e piacevoli…poi possono rendersi utili nel futuro, inaspettatamente…
Inoltre, in un paese in cui si trovano miliardi di chiese e monumenti antichi quanto il mondo greco-latino, direi che conoscere queste due lingue possa essere una risorsa importante.
Scusate la pappardella, non mi so contenere! Sono entrata in questo sito per leggere di danza e mi sono trovata questo interessante post sulla scuola e da pedagogista (deformazione professionale?) non ho saputo esimermi dal commentare.
Complimenti per il sito!
Valeria (del gruppo di ballo Maris Rock)
Benvenuta Valeria, e grazie del tuo intervento articolato e competente.
Oggettivare il percorso scolastico con i criteri di cui sopra, come dici tu può servire ad uniformare il livello qualitativo della preparazione effettiva su tutta la penisola, per un sano obiettivo; mi domando solo se funzioni. Funziona? Oppure queste griglie e regole sono applicate rigidamente solo negli istituti – nelle città, o regioni – dove già l’attenzione al livello è massima, e lasciate perdere altrove? E non diventano allora solo contenitori vuoti, o percorsi che richiedono agli insegnanti ulteriori sforzi e perdite di tempo, col rischio di perdere di vista la sostanza…? Mi chiedo questo anche perché tengo in grande considerazione la scuola italiana, per metodologia e contenuti, specialmente quella secondaria superiore.