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Una voce fuori campo

8 luglio 2010

Con l’animo gonfio di aspettative ho assistito ad una rappresentazione di The world of John Neumeier, commissionato da Spoleto53 Festival dei 2Mondi e andato in scena nella incantevole cornice della piazza del Duomo di Spoleto. Difficile immaginare uno scenario più suggestivo: il palco rettangolare allestito davanti alla facciata della basilica, illuminata da un semplice disegno luci che  a volte evidenziava il nartece (il porticato cinquecentesco antistante l’entrata) o il solo mosaico duecentesco; un pochino più in alto del Duomo si intravedeva la luminosità più calda della rocca Albornoz; e il tutto era sovrastato da un cielo nero ricolmo di stelle.

Una voce narrante dal tono carezzevole e un po’ didascalico ha condotto gli spettatori alla “scoperta” delle coreografie di Neumeier attraverso un excursus biografico, nel quale duetti e numeri d’insieme, estratti dai suoi lavori più significativi, sono stati  idealmente uniti in un mosaico composto da un duetto da Orpheus, diversi numeri da Le pavillon d’Armide, dall’Oratorio di Natale e dalla Passione secondo Matteo di Bach, da lunghe sezioni di uno dei suoi capolavori, il Nijinsky, e dalla Dama delle Camelie; e poi dal duetto che mi ha più affascinato, tratto dall‘Opus 100 – for Maurice; infine dall’elogio dell’amore sulle note della Terza sinfonia di Malher.

Impossibile da descrivere nel dettaglio questa impressionante sequenza di coreografie di intensità assorta  e rara perfezione estetica,  che raggiungono i risultati più alti nell’indagine introspettiva di alcuni personaggi e nella struttura drammaturgica sempre estremamente espressiva e curata. L’esecuzione dell’Hamburg Ballett è stata mirabile – anche se oso dire che forse potevano essere più curate le parti d’insieme: ma i solisti erano strepitosi. Non bisogna dimenticare che Neumeier è un neoclassico, e a mio avviso è necessario un certo training per entrare nel suo linguaggio senza disorientarsi, perché in certi momenti pare di assistere a un balletto di fine Ottocento e un attimo dopo le figure si scompongono in modo non “accademico” … ma i movimenti coreografici non hanno che  alcune reminescenze in comune con le tecniche contemporanee (o meglio, modern). La struttura composita dello spettacolo, l’allestimento all’aperto e il pubblico abbastanza distratto  hanno accentuato la difficoltà di decodificazione di questo linguaggio, lasciando alla sottoscritta la sensazione di un codice linguistico ibrido.   Neumeier sceglie per lo più composizioni di autori classici, che coreografa con profonda  conoscenza della partitura e intelligenza musicale…e perciò sempre in versione integrale: così, ad esempio, ci consente di ascoltare per intero il Largo della Sonata in si minore di Chopin (Duetto dalla Signora delle Camelie) e il finale della Terza di Mahler. Un linguaggio, quindi, non avvezzo alla sintesi. Eppure, può piacere o non piacere, ma è un lessico compiuto il suo, in sé coerente, narrativo e melodrammatico per vocazione. Con episodi di autentica poesia: come il duetto di Opus 100 – del quale non ho percepito la durata, la mia attenzione catturata  dal movimento, dai corpi, dallo spazio –  sulle note di una canzone di Simon & Garfunkel: il duetto di Neumeier e dell’amico Béjart.

 

 

2 commenti leave one →
  1. monicavannucchi permalink
    10 luglio 2010 11:08

    Eccola qua la recensione di Neumeier! ho la sensazione di avere perso qualcosa di unico e irripetibile; avevo visto anni fa il suo lavoro all’Opera di Roma e il ricordo che ne ho è indelebile : un “neoclassico” come dici, forse non ortodosso, ma entusiasmante nella capacità di plasmare i movimenti su partiture musicali di grande respiro. In realtà all’epoca mi piacque soprattutto il lavoro corale, perciò mi incuriosisce ciò che dici rispetto ai solisti e ai gruppi… monica

    • taniapallabazzer permalink*
      10 luglio 2010 19:50

      Le coreografie erano in buon numero, con un’infinità di dettagli e di significati da cogliere. Alcune parti d’insieme, per esempio nel Pavillon d’Armide, mi sembravano non perfette nell’esecuzione, ma devo dire che mi piacevano meno anche dal punto di vista coreografico. Nell’ambito dello spettacolo hanno avuto assai più spazio i duetti.
      Nel contesto di questo spettacolo in particolare, ho trovato specialmente difficili da seguire alcune parti, come il duetto da La Dame aux camélias, perché estrapolate dall’originale e oggettivamente, per me, molto lunghe; con ciò conservando l’ammirazione e… la gratitudine verso N. per il modo di lavorare sulle partiture in versione integrale.

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