Sul rilassamento
Anni orsono ebbi l’occasione di sperimentare alcune tecniche di rilassamento, come il training autogeno, scoprendo che saper “abbandonare” una parte del proprio corpo, un singolo arto o muscolo, può significare averne il pieno controllo. Nel training autogeno funziona proprio così; ma ci sono molti altri metodi che lavorano sull’autoconsapevolezza, arrivando all’educazione del corpo attraverso lo studio della qualità del movimento anche nelle semplici attività quotidiane, come il Feldenkrais; o attraverso le tecniche di meditazione dei vari tipi di Yoga. D’altronde il musicista, nella convinzione di riuscire a controllare meglio l’esecuzione, è spesso propenso a tenere in tensione parte della muscolatura della schiena e dell’avambraccio, mentre è proprio così che il suono perde morbidezza acquistando invece livore, asprezza. Lo stesso accade anche con la respirazione per gli strumentisti a fiato; ma la respirazione è per chiunque alla base dell’equilibrio psico-fisico. Con le tecniche di rilassamento un musicista può (ri)conquistare un generale benessere anche nei momenti di grande tensione come le esibizioni pubbliche, per giungere ad un migliore controllo del suono e infine allo stato di equilibrio ideale per comunicare le proprie idee espressive: tecniche come la Feldenkrais o la Alexander trovano specifiche applicazioni sui musicisti. Naturalmente esistono delle tecniche che applicate in modo estremo possono risultare controproducenti, visto che quel “controllo” prevede necessariamente una minima tensione.
Riflettendo su questi aspetti tutto sommato abbastanza “meccanici”, mi viene da pensare se, in tutt’altri ambiti, si possano riconoscere delle analogie. E’ vero, ad esempio, che in una relazione umana l’atto di lasciar riposare l’attenzione, il momento in cui non si avverte (più, più di tanto) il bisogno di “sentire” l’altro al proprio fianco con accanimento, dimostri che quella relazione ha raggiunto una quota di maturazione. Quando l’esigenza di controllare e di testare continuamente lo stato e la consistenza della relazione vengono meno, significa che proprio allora essa raggiunge uno stadio di equilibrio emotivo (e naturalmente la stabilità di questa nuova condizione emotiva resiste finché è determinata da entrambi i soggetti).
Sono totalmente, irreparabilmente incapace di rilassarmi.
Anch’io non ci riesco quasi mai per la verità, sono una nevrotica matta e ne sono cosciente (perciò forse non sono proprio matta, ma quasi).
Lo stesso vale per me. Siamo i casi peggiori.
Proprio vero…
Questo post mi convince e mi commuove. Dal principio alla fine.
Io mi rilasso, oltre che nel lavoro intellettuale (scientifico o artistico che sia), nel gioco. Per esempio, facendo ping- pong. Raramente purtroppo, gioco a ping- pong. I miei amici non giocano, preferiscono pratiche ginniche solitarie, palestre, strane sedie, corsa e simili. Nella vita quotidiana, invece, sono teso. Cerco di imparare quanto ho visto fare ad Eftimios, ma non ci riesco quasi mai. Eftimios, il maestro della ‘grazia sotto pressione’.
Adoro il ping-pong e non ci gioco assolutamente mai. Quando ci gioco, però, non faccio sul serio: rido per tutto il tempo. Trovo tutto molto comico. Penso che ridere sia il miglior modo per rilassarsi mentalmente.
Eftimios mi sa che è stato un maestro difficile da eguagliare; riuscire ad imitarlo credo sia già molto! La ‘grazia sotto pressione’: bellissima espressione e, ancor più, auspicabile talento.