Papaye
Non so che genere di vita si possa condurre, oggi, in una cittadina come Afgoi, vicino a Mogadiscio. Io ne ho un ricordo risalente a trent’anni fa: un villaggio, niente di più, circondato da una vegetazione lussureggiante (bouganvillee, ibiscus, acacie…un pochino d’ombra e persino frescura, in contrasto con l’aridità della boscaglia) e specialmente da piantagioni di banane e papaye (le papaye somale: immensi frutti, anche di 1 o 2 kili di peso, dalla polpa arancione e dolcissima); un villaggio sorto vicino al fiume Scebeli, il fiume rosso – infatti la caratteristica di quella zona era proprio il rosso della terra fangosa, impastata nei sandali, trasportata fino in città sotto i pneumatici delle vecchie fiat o delle Jeep. Conservo di Afgoi un’immagine quasi fotografica nella mia memoria (fotografica perchè immobile): alcune capanne di fango (rosso) dal tetto di paglia, una donna e alcuni bambini davanti alla porta, uno di loro è un bimbo di poco più di un anno, nudo e con la pancia gonfia, molto gonfia. Poi custodisco in me un’altra immagine, ma questa è più filmica, dinamica. Una piantagione di papaye sullo sfondo; uno spiazzo (ovviamente di terra rossa) davanti ad una grande capanna aperta; un uomo, all’ingresso della capanna; una fila di bambini che, arrivati davanti all’uomo, tendono il braccino magro. Forse è una vaccinazione: si tratta di un medico. No! L’uomo traccia una riga su ogni braccino, con una biro nera o blu; alcuni bambini ne hanno già diverse decine. Come mai?
Era il carico. Ogni riga era un carico di papaye.
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Bella e buona testimonianza, Tania. Quando ero ragazzo segnavo gli uccelli uccisi con una tacca sulla carabina.
Proprio l’idea di usare quel segno (un segno sul corpo) è particolarmente crudele e umiliante, dato che serviva a tenere il conto per la “ricompensa” al lavoro minorile in un luogo dove si muore di fame.
La tacca sulla carabina è una lontana associazione, ma forse non poi così lontana – e fa male anch’essa.
Il peggio è che sicuramente esistono (e sono esistiti) luoghi dove si fa una tacca sulla carabina per ogni persona, anche bambino, che si è uccisa direttamente. Piuttosto che indirettamente, con un lavoro minorile da fame.
Sfumature dell’orrore.
Esistono certamente, anche se riesce difficile crederlo – e facile dimenticarlo – a chi vive in società e paesi “sicuri”, dove i diritti umani sono generalmente rispettati.
Il massimo dell’orrore? ‘Nella colonia penale’ di Franz Kafka.
Sono d’accordo- orrore in campo letterario. Ho letto quel racconto più di 20 anni fa, e nonostante le letture stratificate e sommate fino ad oggi, sono d’accordo.