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Contare…conta qualcosa?

3 agosto 2009

Vacanze, finalmente! Gli ultimi giorni sono stati durissimi, le sale di danza sono dei luoghi insalubri in ogni stagione, e nelle torride estati romane possono diventare un inferno per i pianisti, che certamente gradirebbero un po’ d’aria condizionata, o almeno … un po’ d’aria NORMALE, aria, giusto un po’ d’ aria!

Non conoscevo il coreografo Paco Dècina, che ha tenuto alcune lezioni di danza contemporanea presso lo IALS. Sono sempre più che disponibile ad accompagnare il contemporaneo, e molto curiosa visto che, oltre a chi fa riferimento a tecniche “storiche” specifiche (Limòn, Cunningham, ecc.), molti maestri e coreografi elaborano un proprio linguaggio personalizzando aspetti di quelle stesse tecniche e introducendo proprie filosofie riguardanti il movimento, il rapporto con lo spazio, e naturalmente la relazione con la musica.

Man Ray, Metronomo, 1965
Man Ray, Metronomo, 1965

Da musicista, osservatrice interessata ma inesperta, ho trovato Dècina molto attento al rilassamento, al risparmio dell’energia, alla consapevolezza nell’utilizzo di muscoli e arti; e votato ai disegni circolari, spiraliformi, ai movimenti curvilinei in ogni direzione. Prediligeva, in generale, gli andamenti abbastanza lenti e legati, spesso in 3 tempi. Per la verità le sequenze prendevano forma “nel tempo” nel momento in cui venivano mostrate, definendosi meglio alla seconda e poi alla terza spiegazione (necessarie sia per la memorizzazione che per la messa in musica). Poteva ridefinirsi anche il tempo di base, oltre che il conteggio preciso dei tempi per ogni movimento: così il mio lavoro improvvisativo era sempre messo alla prova, e non sempre coglievo “l’ultima” veste musicale che la sequenza sembrava richiedere. Questo continuo “divenire” poteva risultare disorientante per alcuni danzatori (e in alcuni momenti lo è stato anche per la sottoscritta), che avrebbero preferito una spiegazione solidamente strutturata, ma dimostrava a mio avviso semplicemente quanto una sequenza possa svolgersi nel tempo in modo soggettivo per ogni singolo danzatore, che ogni movimento richiede un suo tempo, e che una definizione precipitosa di questo tempo, per rassicurare una sola delle nostre percezioni, rischia di costringere la dinamica del corpo in maglie che non calzano, perché troppo stringono o abbandonano. Inoltre, non si trattava di definire una musica e poi rallentarla o accelerarla senza criterio musicale; ma di costruire frasi nell’ambito di un andamento coerente, aggiungendo o togliendo (con una logica musicale) gruppi 2,4 di battute.

In altri contesti, quali la lezione di tecnica classica, a mio avviso sarebbe auspicabile che la dilatazione del tempo, per consentire spostamenti o salti o giri, avvenisse senza richiedere al pianista una conseguente arbitraria dilatazione delle singole battute o cadenze ma, mantenendo il tempo musicale di base, costruendo appositamente frasi musicali più lunghe, non necessariamente secondo la logica degli “otto tempi” (oppure otto battute); quantomeno, questa abitudine di piegare la musica quadrata ad esigenze … non quadrate dovrebbe essere limitata solo ad alcuni momenti delle sequenze, e non generalizzata.

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  1. monicavannucchi permalink
    26 settembre 2009 22:14

    Ciao, ti scopro oggi e mi fa piacere leggere di danza on line; vorrei dirti molte cose, ma non voglio essere precipitosa, avremo tempo spero!! Intanto buon proseguimento e buone lezioni! monica

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