Oggi i cinesi, domani…
Da un paio di settimane accompagno presso l’Accademia alcune lezioni tenute da maestre cinesi . Si tratta di danza classica cinese, beninteso non di danza genericamente “tradizionale” cinese. L’arte del movimento nella sua versione colta è stata infatti sistemata dai cinesi in un metodo d’insegnamento che si svolge nella forma della danza classica occidentale. Tale metodo prevede esercizi alla sbarra e al centro (il body accademico per i ballerini) con l’accompagnamento del pianoforte live, nel quale solitamente i pianisti di scuola cinese ripropongono musiche della tradizione musicale colta del loro paese, eseguita però su uno strumento musicale occidentale, il pianoforte, e secondo la metrica occidentale costruita su gruppi di otto tempi. Sotto l’aspetto musicale, rinunciano quindi alle sonorità e al linguaggio propri della loro musica, e penso soprattutto al sistema temperato, cui devono sottostare per poter utilizzare appunto il pianoforte. All’ascolto del mio orecchio occidentale, in tal guisa queste musiche risultano… scontate e un po’ ripetitive, con melodie elementari e la ricorrenza di alcuni intervalli, come la quarta giusta.
Durante la lezione tuttavia, almeno per quanto riguarda le lezioni maschili, che ho accompagnato dal vivo, a loro interessano particolarmente le dinamiche, poiché lavorano molto su cambi di posizione repentini, quindi sulla velocità, e sulla grazia nella velocità. Ho scelto di utilizzare un linguaggio di tipo “modale”, più vicino a quello che sfrutto per la danza contemporanea che a quello della classica occidentale, facendo attenzione agli spostamenti che parevano richiedere un “luccichìo” improvviso del suono, e mi sembra che il mio approccio, totalmente istintivo, sia stato abbastanza apprezzato.
Ehi, Tania, che fine hai fatto? Non mi vieni più a trovare?
bello il ” luccicchio”del suono, ma in cosa consiste, tecnicamente parlando? mi piacerebbe parlare con te delle risorse della dinamica del suono in rapporto alle dinamiche di movimento; humm! mi sa che è complicatissimo…
Ciao Monica, sono qui, anche se nelle ultime settimane ho avuto davvero poco tempo persino per aggiornare il mio blog, figurati per navigare con un po’ di calma… Vedi, parlando di “luccichìo” del suono intendo un particolare “colore timbrico” che, su uno strumento dalla timbrica uniforme come il pianoforte, si ottiene disponendo i suoni degli accordi in modo tale da ottenere un colore brillante, risonante. Sentivo la necessità di trovare “quel” colore per descrivere, nei punti giusti, la repentinità dei loro movimenti, velocissimi, più energici che aggraziati. Mi sembrava che non fosse sufficiente semplicemente sottolineare gli accenti (tra l’altro, sempre in battere, sempre in fuori).
Con altre fonti sonore a disposizione, avrei lavorato sulla fusione dei timbri di più strumenti per ottenere un simile colore.
Ma il tuo intervento mi fa riflettere, stimolandomi a scrivere un approfondimento sul tema!
ciao!
Credo di avere più o meno capito! evviva! Mi colpisce la faccenda che i danzatori classici cinesi tendano, come tu dici, a utilizzare molto gli accenti in battere oltre alla repentina velocità (immagino dei cambi di direzione, di livello, di orientamento, per quel che il classico concede). La butto lì: sembrano caratteristiche di “potenza” molto vicine a una idea di prestazione sportiva, a discapito dell’ascolto e della modulazione del tono, per esempio, necessarie all’artista che utilizza il corpo; é complicato a dirsi in due parole, ma se ti capita di passare di là da me, c’è un piccolo dibattito in corso (speriamo che si allarghi) intorno a quella che ho chiamato ” la domanda cruciale”! Per ora basta, che stasera ho Jan Fabre che mi aspetta!! ciao, monica
Infatti, attraverso la nostra percezione “da occidentali”, il tipo di movimento pareva assimilabile in qualche modo alle discipline affini alla ginnastica artistica… Io ho subito realizzato che comunque la nostra percezione è relativa, pertanto questa assimilazione vale soltanto per la nostra forma mentis, per il concetto che noi occidentali abbiamo di “danza classica”; o semplicemente di danza. Se nella tecnica maschile lavoravano diciamo sulla componente più “atletica”, in quella femminile l’attenzione si concentrava sulla grazia dei movimenti. Ma in entrambi i casi c’erano molti dettagli da curare, che per loro erano importanti, e messi insieme costituivano il tracciato espressivo. A me forse sembravano movimenti o…gesti virtuosistici, manierati o leziosi: per loro erano il catalogo delle potenzialità espressive. Ciao Monica!
Già… infatti un altro dei tabù che la danza contemporanea ha infranto è quello della separazione tra repertorio maschile e femminile, superando non solamente la dicotomia tra tecnica delle punte da un lato e tecnica dei grandi salti dall’altro, ma arrivando anche a dichiarare la perfetta indifferenza dei ruoli nei “pas des deux” !
Ciao, buonanotte, monica.