Da ora in poi
Un esordio è il primo passo: da quel momento in poi, se tutto va bene, comincia la (grande) avventura. Naturalmente è bene calibrarlo nei toni giusti quel passo, perché nel contempo esso è una sorta di biglietto di presentazione che mette in mostra le qualità peculiari di una compagnia, delineando l’abbozzo di una personalità e la prima goccia di un’esperienza.
Così, dapprima, il filo rosso teso appena in tempo da Pina Bausch – come una benedizione – afferrato al volo dalla Compagnia dell’Accademia Nazionale di Danza, ha preso forma nel Solo di Cristiana Morganti, un episodio breve e toccante intriso della poetica della grande Pina.
…A seguire ha preso vita Da ora in poi, coreografia di Jacopo Godani dal linguaggio vorticoso – mi viene da dire: metropolitano, per l’atmosfera -, ritmato implacabilmente dalle alternanze di luce e buio, dinamismo e staticità (ma sempre con l’energia come compressa, pronta ad esplodere). Un linguaggio fatto di torsioni, pose immobilizzate, continue trasformazioni di qualcosa in altro: paralizzarsi un istante, liquefarsi, farsi letteralmente pioggia, prendere vita di nuovo; un discorso che si svolge snodandosi in splendidi dialoghi a due, tre, quattro danzatori, in una composizione ben riuscita, direzionata, avvincente.
E invece non si è visto nessuno danzare nella coreografia di Robyn Orlin, una pièce – comica a tratti, inquietante, prolissa, assurda ma non abbastanza, provocatoria ma in modo banale – dove la Compagnia si è ritrovata a recitare la propria vita di danzatori prima dell’esordio: una vita da cani, letteralmente. Tanto che sorge il dubbio, com’è possibile che corpi tanto armoniosi e volti espressivi e voci carezzevoli e intonate siano maturate a tal punto dopo la giovinezza trascorsa nelle sale di danza? Bene, chissà se il proposito era quello di farci venire questo dubbio.
Loro sono davvero bravi, secondo me. E’ una compagnia neonata, non ci sono veterani, né modelli da seguire: è tutto da costruire e in tale contesto la professionalità, la pulizia esecutiva e la versatilità dimostrate sono un indizio di solidità e senz’altro terreno per buone fondamenta. Naturalmente saranno le scelte effettuate a un altro livello – quello del Comitato Artistico, costituito da grandi nomi della danza – a determinare la fortuna della compagine, poiché è lì che se ne decide l’indirizzo poetico e culturale, i referenti e i linguaggi dal punto di vista delle tecniche contemporanee, il rapporto con la sperimentazione, ma anche i contenuti che si vogliono – eventualmente – trasmettere. Da questo punto di vista, il “manifesto delle intenzioni” accennato nel programma di sala esplicita propositi un po’ generici, e l’impressione (sempre della mia si tratta, beninteso) è che un vero indirizzo non sia ancora stato scelto.
Del resto, non è facile: le premesse sono molto diverse nel caso in cui una compagnia nasca per volontà di un singolo coreografo, che ne fa il luogo di espressione del proprio linguaggio e delle proprie idee. Qui gli intenti si manifestano volitivamente con un “da ora in poi…” che non è ancora in grado di raccontarci il seguito.
Vi segnalo questo articolo.
E così abbiamo pubblicato tutte e due il nostro “disappunto”! io con dispiacere e riluttanza, devo dire, ma mi sembra che anche per te sia lo stesso, del resto criticare è sempre più difficile che lodare! un abbraccio, monica
P:S: la foto te la invidio però! 🙂
E’ difficile se qualcosa sta a cuore, sì! Direi che siamo d’accordo…!