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Inconsolabile

22 febbraio 2010

Me ne sto qui, nel mio piccolo bungalow, non è spazioso ma ci sto bene, è accogliente e contiene tutte le mie cose. La finestra incornicia il mio quadretto preferito, il giardinetto con la palma: non sarà una natura lussureggiante, ma è tutto mio, è il mio piccolo regno. Nei giorni di brezza adoro affacciarmi e osservare la palma mossa dal vento. E in lontananza intravedo le acque del laghetto incresparsi lievemente e cigni e anatre incuranti scivolare sulla superficie, ogni tanto aprendo le ali come per spiccare il volo, in realtà per consentire all’aria mossa e tiepida di asciugarne le penne. Oh, quanto la amo, è la mia casa, e ciò che la circonda è tutto il mio mondo.

Inizia a piovere, però. Pare una pioggerella ma aumenta d’intensità, diventando sempre più fitta, tanto da costringermi a ripararmi nella mia casetta.

Il tempo passa. E’ monotono il suo trascorrere, come il precipitare delle gocce. Sì, perché la pioggia cade ancora incessante. Dalla finestra noto un paesaggio che si è fatto nebbia – non sembra quasi più il mio.

D’un tratto la palma si è afflosciata, come fosse fatta di cartone, zuppa d’acqua. La mia pianta! Come cartone! Eppure, tante volte mi sono disteso sotto la sua stretta ombra per ripararmi dal sole. La noia si muta in sgomento, ma non mi muovo: fuori piove…non posso andare a vedere che cosa è successo alla mia palma… Ma devo, perciò esco. Muto di angoscia, mi agito intorno alla mia pianta ormai ridotta a uno straccio bagnato e comincio a correre avanti e indietro nel mio giardinetto; ma anch’io sono ormai fradicio, così rientro e mi viene un’idea, e mentre sto pensando a quell’idea – ecco non me ne ero neanche accorto, anche i cigni e le anatre si sono afflosciati come fossero di cartone, eppure ero certo di averli visti scivolare sull’acqua del lago, ho visto quando sbattevano le ali sollevando spruzzi d’acqua, ma ora vedo i loro colli piegati e i corpi molli e sciolti da questa maledetta pioggia. Allora torno alla mia idea. Non so spiegare che cosa stia succedendo al mio paesaggio adorato, mi ricordo però com’era prima che iniziasse a piovere, perciò ne disegno i contorni sul muro opposto a quella finestra che ormai si apre sull’orrore.

In tutto questo, faccio finta di non accorgermi che l’acqua è penetrata anche dentro la mia casa, il mio rifugio. Infatti, mentre sto disegnando sul muro, fiumi d’acqua scorrono sui miei piedi, e le pareti si inclinano pericolosamente verso di me, perché – dio mio, no – anche la mia casa si sta afflosciando, non posso più ignorarlo ma cerco di resistere, finché anch’essa si piega su di me come fosse di cartone, e non mi resta che strisciare fuori carponi.

Non dovrei dire fuori, perché non c’è più un dentro dove rifugiarsi. Quello che un tempo era il mio mondo, con un dentro e un fuori, oggi è un’unica dimensione incerta, sferzata da un’orribile pioggia che non lascia quasi mai tregua e dalla quale posso ripararmi soltanto con i miseri resti delle cose che ho amato –  finché  si conservano, ridotti come sono a brandelli.

D’un tratto qualcuno cerca di consolarmi: che sarà mai, capita a tutti: ma che cosa pensavi?! E io allora rido, ghigno come un pagliaccio, e recito, e canto una canzone che non è la mia. Alla fine mi rialzo, ma solo perché sono un tipo tenace: mi devo pur aggrappare a una qualche forma di esistenza. 

Non è un mio racconto, né la trama di uno dei miei incubi, ma una libera rilettura della vicenda raccontata in Blessed, uno spettacolo della coreografa americana Meg Stuart andato in scena all’Auditorium di Roma per il festival Equilibrio. Adottando  un linguaggio di tipo simbolico, in questo lavoro la Stuart mette in scena il dramma della condizione umana attraverso un percorso di disfacimento in tempo reale. L’installazione e l’assetto scenico hanno reso agevole la leggibilità dei contenuti,  anche se personalmente avrei preferito una narrazione senza “variazioni di registro” verso  il grottesco. Inoltre un paio di dettagli iniziali come le…ciabatte indossate dal protagonista e lo scroscio incessante di vera pioggia hanno da subito svelato che i movimenti coreografici sarebbero stati assai limitati…come in effetti è stato.

Vi segnalo questa recensione  di Monica Vannucchi.

 

 

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