Diffidenza
Ho avuto un cane che guardandosi allo specchio riusciva a riconoscere non proprio sé medesimo – non possedeva coscienza della propria identità fino a quel punto – ma un suo simile, un altro cane, e si stupiva anche riconoscendo figure umane molto simili a quelle che lo circondavano.
Io non so a quale età ho imparato a riconoscere la mia immagine specchiata, ma per gli umani diciamo evoluti – dotati di strumenti capaci di riflettere o semplicemente curiosi di ammirare le immagini riverberate nelle acque di qualche limpido corso d’acqua come Narciso insegna – si tratta di una cognizione molto precoce, data presto per scontata.
Certi sono tanto affascinati dalla propria immagine da restarne in contemplazione rapiti, altri invece rimangono dubbiosi, assorti nell’incertezza, come imbronciati; o peggio strillano indemoniati come la regina di Biancaneve – da cui la nota sindrome – quando ne disapprovano del tutto l’evidenza; oppure, in uno stadio evolutivo ancora “primitivo”, ne sono spaventati, non essendo in grado di associare alla propria identità quello che vedono.
E io mi chiedo se queste reazioni di natura “primitiva” non possano essere assimilate a quelle di adulti senzienti che si trovano di fronte a manifestazioni volontarie o involontarie della propria identità più profonda, nel suo rivelarsi continuamente, nel tempo e in ogni luogo, in un processo di naturale metamorfosi oppure anche solo di evoluzione nella conoscenza di sé. E mi domando se quella paura – derivata proprio dal mancato riconoscimento, dalla diffidenza – non rappresenti, quando resta insuperata, un sintomo d’involuzione.
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I dubbiosi, gli incerti, gli imbronciati, gli indemoniati, gli spaventati di fronte a se stessi, di fronte al proprio corpo o di fronte alla propria anima, non si amano.
E non si amano perché non partono dalla realtà, da ciò che realmente sono, per poi diventare ciò che possono realmente essere, ma partono da qualcos’altro, da un modello astratto, da una maschera conforme, al quale ed alla quale tendono disperatamente ad assomigliare. Disperatamente, perché il modello e la maschera si scontrano con l’irriducibilità dell’essere umano in quanto essere umano.
Coloro che si amano così come sono e tendono a diventare ciò che possono essere sono scambiati da coloro che non si amano e tendono a diventare un fantasma della mente per ‘narcisisti’, ‘egocentrici’. Dimenticando che il narcisismo, se non è malattia, è rappresentazione spettacolare di se’ – cosa buona e bella. E dimenticando che il problema non è essere altruicentrici, cioè perdere un centro per trovarne un altro, che è una malattia quanto lo è la riduzione del mondo grande e terribile al proprio esclusivo punto di vista, bensì essere egocentrici al modo dell’ellisse, costruendo la propria traiettoria con due fuochi, io e gli altri.
Insomma: amatevi come io, che mi amo, vi amo. Augh.
Sono pienamente d’accordo con te, è una questione di amore verso se stessi, verso quello che effettivamente si è e non quello che si vorrebbe rappresentare. E sono d’accordo anche sul considerare l’altruicentrismo una deviazione insana della personalità quanto l’egocentrismo.
A parte che si tratta sempre di un viaggio, di una continua riflessione e correzione di rotta: tanto più se ci si sforza di far ruotare la propria vita intorno a due centri e non uno!
Augh!
Ho avuto un cane di seconda mano, cresciuto in un pollaio fra anatre mute e galline mantovane.
La conseguente bassa autostima, unitamente all’assenza di vetrine e specchi, lo rendevano indifferente alla propria immagine.
Della mia finì per farne ragione di vita e quotidiana attesa, oltre che l’occasione per un riscatto.
Per anni abbiamo corso sotto cieli carichi di neve, interrotto il gracidare delle rane nelle risaie, guadato torrenti, impresso orme sulla battigia.
Ancora oggi, riflettendo sopra concetti di lealtà, fedeltà, senso di appartenenza, non riesco a fare a meno di pensare che sia lo specchio nel quale vorrei si riflettesse la mia di immagine, se non quella del genere umano.
Sarò certamente in uno stadio evolutivo ancora primitivo, e dispero che il tempo sia dalla mia parte, ma, in virtù dell’aver retto l’un l’altro lo specchio, ho ben chiaro ciò a cui aspiro e mi ispiro.
Grazie per avermi dato modo di ricordare il Poldo, collocandolo nella degna cornice di una casa ospitale.
Il Poldo sarà anche stato di seconda mano, ma non cercava la propria ragione di vita nello specchio…la trovava invece nel suo padrone jfk! Intorno a concetti come la lealtà e la fedeltà temo che l’umanità uscirà sempre perdente al confronto con i canidi domestici…
Grazie a te JFK, ospite gradito e…benvenuto!
Lo “specchio” più sincero è il volto dell’Altro. È solo attraverso quello che possiamo riuscire a dare uno sguardo dentro noi stessi. E viceversa.
Già. In effetti, anche lo specchio della regina di biancaneve diventava un po’ “l’altro”, un interlocutore autonomo. Ma c’è chi, appena scorto appena un lembo della verità, corre a nascondere la testa sotto la sabbia… In realtà in varia misura lo facciamo un po’ tutti, perché è difficile per tutti ascoltare e credere in una verità su di sè enunciata da parte di un altro. Bisogna sforzarsi almeno di elaborare, catturare qualcosa di quella verità, per non restare del tutto in-evoluti.