Due passi
[..] Connie stava ballando, e anche Lambreta. Man mano che i movimenti di lei si facevano più ritmati, lo stesso accadeva a quelli del nano. Cercava di starle dietro, ma si vedeva che gli mancava il fiato. Per ogni passo fatto da Connie con le sue lunghe gambe, a Lambreta toccava farne tre. Connie si accorse che il suo partner non ce la faceva più. A un tratto, il suo fazzoletto volteggiò sul pavimento. Il nano lo raccolse e lo restituì alla bella ragazza, che si fece livida e gli disse qualcosa. […]
Lambreta lasciò il palcoscenico. Essendosi sbarazzata di lui, la sensuale Connie iniziò la propria danza del desiderio. Ma io guardavo Lambreta. […] Nessun altro se ne rese conto, ma io avevo notato che era stanco e non riusciva più a stare in piedi. […] Il torace di quel poveretto ansava come un mantice, i suoi abiti erano fradici di sudore. Invece Connie non era affatto stanca…continuò a danzare come un pupazzo a molla. Le luci del Mumtaz si erano di nuovo spente. Solo il raggio di un riflettore illuminava il suo corpo seminudo,
conferendole una più profonda aura di mistero.
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Sankar, Hotel Calcutta [Chowringhee].
Traduzione di N. Gobetti
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Ti confesso una cosa: io ho un problema coi romanzi indiani, e molto probabilmente avrei lo stesso problema con l’India, se ci andassi. E cioè la rappresentazione della sofferenza. Non la sofferenza, ma la sua iconografia spietata. Ma è un problema mio, e il libro è sicuramente bellissimo.
Bentornata!
Capisco, tuttavia a me questo romanzo è piaciuto molto proprio per la speciale “leggerezza” con cui racconta ogni episodio/situazione, tanto che capita di ritrovarsi talvolta nell’epilogo di una tragedia quasi senza accorgersene – e quando effettivamente ce ne si accorge fa abbastanza male.
Grazie per il bentornata, le mie vacanze “vere” sono in corso, ma ho avuto bisogno di una pausa dal blog…ci voleva, anche qui!