Latte d’oro
“Che bel latte d’oro, è proprio del colore dell’oro”. E’ l’alba fredda di un giorno di febbraio, sfinita dalla mia sedia mi volto verso la voce che ha parlato, è quella di un’infermiera bionda e corpulenta, ma il timbro e l’accento sono gli stessi dell’attrice di origine turca che ha lavorato in tanti film di Ozpetek. Le luci al neon e la sensazione di silenzio che proviene dal corridoio buio del reparto dormiente mi opprimono, ma non abbastanza da non sentirmi orgogliosa per quel complimento al mio latte, giovanissimo, che esce copioso ormai e che raccolgo per le ore in cui non potrò entrare qui. Se non fossi piena di ferite dolorose e umilianti, e di fastidi, e di difficoltà fisiche che non avrei saputo immaginare prima, sarebbe un’altra cosa. Ma dentro di me so che non dovremmo trovarci qui; quanto è innaturale, o meglio fuor di natura, questa assurda separazione seppur di pochi giorni, non doveva essere così, ma proprio il contrario, dalle nostre parti è prassi normale – ma dalle nostre parti nessuno si ricorda più come dovrebbero svolgersi quei primi giorni di una nuova vita. Così, quel farmi forza ancora nel pieno della notte e il sopportare l’attesa e il percorso a piedi e persino lo star seduta – considerando ogni volta come il mio stato non impressioni proprio nessuno, lì – tutto questo è premiato perchè lei già mi riconosce e perchè proprio grazie a tale costanza, lo so, posso produrre latte per lei, e infine per me.
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Sì, Tania, i primi giorni di una vita nuova dovrebbero svolgersi ‘naturalmente’. Così sarà presto, quando passaremo dalla fine della vecchia civiltà moderna alla civiltà degli esseri umani creativi, autonomi, solidali. Che è più vicina di quanto sembri: l’ho visto ieri negli occhi di tanti Gennarielli e Gennarielle a Bologna. Ne parlerò in un mio mercuriale – pensando alle tue sante esigenze di madre amorevole.
E io verrò di certo a leggerti. ciao Pasquale!