Il pensiero sfuggente
A volte mi dimentico del tutto di te. Ti nutro, ti vesto: quanto basta. Ma non so più dove inizi, dove finisci. Dove arrivano le tue estremità? Mi pare di non conoscerle più. Non ti osservo abbastanza: non so se sei cambiato. Sei cambiato? E dove? Sul serio? Ma lì eri già così? Per un attimo, mi occupo di te; riscopro qualcosa che conoscevo bene, un tempo. E poi, mi distraggo di nuovo.
Ti guardo, di sfuggita: quasi sempre allo specchio. Ma lo specchio non dice tutta la verità, non la sa: non può toccare – morbido duro crespo liscio ruvido – e nemmeno annusare.
(Osservare dal vivo e toccare è, naturalmente, tutta un’altra cosa. Specchio: sciocco!).
Che cosa so, che cosa offro, di te? A me piace, come sei oggi? E poi, vediamo: mi piaceresti ancora, privato di ogni ornamento? Senza i vestiti, la collana e l’anello scelti ogni giorno? E’ come se mi fossi venuto a noia, ma non è così, sai.
(A volte penso: tanto cambia poco. Lui va per la sua strada, che io lo osservi o no. Lui si trasforma, che io me ne occupi o no. Di che cosa potrò pentirmi, quando si sarà del tutto trasformato, ogni tessuto si sarà rilasciato e i lineamenti si riconosceranno a stento? Forse di non averlo amato abbastanza? In fondo, amarlo significa semplicemente averne cura. Sarà vero che ignorare aiuti a sopportare? Fino a quando…?).
Non è che non ti ami più, è che non ho tempo per dimostrartelo. …Ma non è vero nemmeno questo. E’ che il tempo mi è sfuggito e non ho provato ad afferrarlo.
(Un giorno mi ritroverò faccia a faccia con lui, all’improvviso).
Fuggo da te, dal pensiero di te. E il tempo scivola sul mio essere curvo.
(Niente è più curvilineo di un corpo).
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