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Il senso del vuoto

7 ottobre 2016

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Quella sospensione, di durata variabile tra l’attimo e l’indefinito, prima dell’istante in cui il pensiero definisce la propria organizzazione e trova il coraggio di esprimersi in una forma leggibile o udibile, è un momento venato di tensione, poichè non si può escludere il rischio che quell’epifania del pensiero non avvenga. Talvolta le idee si rivelano inconsistenti, o frammenti impossibili da collegare, altre volte non è possibile definirne un assetto formale convincente: può dunque materializzarsi come una sospensione sul nulla, su una pagina bianca. Fino a quel momento l’atto creativo si trova in uno stadio embrionale, ancora non nato; l’idea è rivolta verso l’interno, è ancora parte del sé. Nel momento di separarsi, divenire altro da sé e avere dunque vita propria, essa va incontro ad un destino imprevedibile. Deve separarsi e, come accade con i propri figli, la separazione è combattuta: necessaria, talvolta temuta, e sempre sofferta.

A volte, nell’attimo prima di suonare, perdo tutto, tutto il mio pensiero; è un mio antico tarlo autopunitivo; come un’amnesia, la mia idea musicale svapora in un secondo, e le mie dita non vanno più lì dove avevo immaginato, ma altrove (persino in altra tonalità, se sto suonando in ambito tonale); e quelle dita, dopo quell’attimo, devono suonare, non è concesso il tempo di ricostituire l’idea, di metterne insieme i frammenti. Non si tratta di un incubo ricorrente, ma di una fastidiosa realtà; perchè poi, magari, quello che esce funziona lo stesso. Ma non era quell’idea. Ed è tutto un problema di comunicazione! Quell’improvviso vuoto dipende da un’errata comunicazione del pensiero, che arretra di fronte all’eventualità di una stesura, di una forma materica consistente, al di fuori delle pareti della mente.

E ci sarà pure, da qualche parte, un cestino mentale dove le idee svaporate senza colpa si conservano! Un limbo delle idee non nate. Potessi ritrovarlo, non so che cosa potrei fare di quei frammenti spersi, fuori contesto.

Sarebbe meglio non affezionarsi troppo alla creatività estemporanea. Che profonda contraddizione la mia: mi affeziono ad ogni idea e non vorrei lasciarla andare, non vorrei dimenticarla, come invece accade per natura nei processi creativi di questo tipo. Si è mai visto un improvvisatore, che sia anche geloso e conservatore? Che senso può avere affezionarsi a qualcosa di funzionale per uno specifico contesto? Non mi riferisco, naturalmente, ai modelli (moduli ritmici, modelli armonici, campi armonici e così via) che ogni musicista adopera in modo ricorrente, per necessità: bensì intendo l’idea musicale completa, la composizione (estemporanea) nella quale ogni elemento è il frutto di una genesi coerente e forte di un’aura emotiva dominante. Quell’idea molto spesso non vorrei dimenticarla e vi dirò che, in quei casi in cui sono riuscita a recuperarla (anche adiuvata da qualche fortunosa registrazione) non mi è mai parsa la stessa. Il momento era trascorso, gli atomi diversi, la luce, il senso, tutto. Qualche volta ne ho conservato lo scheletro, l’ho riproposta, ma come fosse…un materiale da riciclare, come un foglio scritto di cui riutilizzare il retro.

§

 

 

2 commenti leave one →
  1. 13 ottobre 2016 07:55

    Grazie. Un post illuminante. So di cosa parli – ne hai parlato benissimo, ho capito qualcosa di più, di me, della creazione in atto, di te.

    • pioggiadinote permalink*
      13 ottobre 2016 21:31

      Grazie a te, carissimo Pasquale.

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